Giochi Paralimpici Parigi 2024, la farfalla torna a volare: intervista ad Arjola Dedaj

Il suo ingresso nella pista dello Stade de France ha dato il via alle gare di atletica ai recenti Giochi Paralimpici di Parigi 2024 e proprio su quella pista ha lasciato il segno: stiamo parlando di Arjola Dedaj, saltatrice e velocista nella categoria T11, ha saltato a 4,75 sfiorando il podio di appena un centimetro e migliorando il proprio primato italiano. Una Paralimpiade, quella di Arjola, dal sapore dolceamaro dopo la mancata partecipazione a Tokyo 2020/21. L'abbiamo intervistata.


Chi è l'atleta Arjola Dedaj?

Io nasco come atleta in Italia perché in Albania (sua terra di nascita, ndr) non avevo la possibilità di fare sport da non vedente perché lì, la disabilità, era percepita come un limite all'integrazione nella società. In Italia ho scoperto che, invece, si poteva fare tutto anche con questo tipo di disabilità e così ho iniziato a fare ciò che mi è sempre piaciuto: lo sport. Ho iniziato con la danza per hobby, poi con il baseball per ciechi entrando a far parte di una squdra della quale sono ancora oggi parte anche se molto meno rispetto a prima perché l'atletica assorbe la maggior parte del mio tempo. Nel 2012 ho incontrato l'atletica grazie ad una persona che insisteva nel farmela provare e da lì non l'ho più lasciata”.

Cos'è, o meglio chi è la “Coppia dei sogni”?

La Coppia dei sogni siamo io ed il mio compagno Emanuele. Ci siamo conosciuti proprio grazie all'atletica sul bordo delle piste indoor, dove abbiamo gareggiato insieme per la prima volta nel 2013, e da questo duplice amore che ci lega (quello per lo sport e quello reciproco) è nato questo progetto che ha non è solo qualcosa di personale, ma intende anche sensibilizzare la collettività sulla cultura dello sport, della famiglia e della disabilità in giro per il mondo o comunque dove ci capita di andare insieme. Spesso, infatti, si pensa che un/una disabile non possa metter su famiglia o crescere un figlio per il solo fatto di vivere questa dimensione della vita, ma non è così. Bisogna andare oltre e avere la consapevolezza che ciascuno di noi ha comunque le proprie attitudini e che si può gestire tutto con estrema naturalezza come fa qualsiasi persona”.

E, in base alla tua esperienza, questa percezione della disabilità è cambiata o persiste ancora oggi?

Alcuni ti vedono come un supereroe, altri come un “poverino”, altri ancora non hanno una vera e propria visione è un po' un mix. Non c'è una uniformità su questo in Italia, che definirei “a macchie” diversamente da altri Paesi come, ad esempio, l'Inghilterra dove c'è una vera e propria cultura della disabilità. La sensibilità va coltivata e va assimilitata e metabolizzata, altrimenti non si cresce. Si può sempre migliorare e c'è sicuramente margine di miglioramento nel nostro Paese da questo punto di vista”.

Esperienza Parigi: quali le aspettative vs i risultati ottenuti?

Questa Paralimpiade l'ho vissuta un po' a metà perché mancava la seconda parte di me, Emanuele. Lui si era qualificato, aveva i risultati e tutto, ma non è stato convocato. Questo mi ha fatto vivere questo mio sogno a metà che, tuttavia, ho vissuto come una bella esperienza. Mi è mancata la sua figura perché è stato un mentore nella mia vita sportiva e insieme a lui e ad altri colleghi abbiamo sollevato la criticità riguradante gli atleti-guida, l'importanza della loro figura e la mancanza di tutela nei confronti di queste figure così importanti per la nostra categoria T1(disabilità visiva totale). Essendo figure che operano a titolo di volontariato, purtroppo non può esserci continuità e questo ci penalizza. Poi Emanuele è la persona che mi conosce meglio di chiunque, ci alleniamo 6 giorni su 7 ed è grazie a lui che ho potuto partecipare alla mia seconda Paralimpiade che io, comunque considero la terza. La terza perché, seppur non l'abbia vissuta di persona, c'ero. Non faccio mai pronostici perché la gara è sempre un'incognita, ma cerco sempre di dare il meglio di me stessa, di migliorare, di superare i miei limiti e i miei record. Alla mia età di 42 anni, sfidare ragazze giovani e arrivare per un soffio al 4° posto è sicuramente motivo di soddisfazione. Cerco, comunque, di considerare me stessa come l'avversario da battere e non gli altri e comunque preferisco essere supporto per gli altri che entrare in competizione”.

Hai parlato di Tokyo con rammarico: cosa è successo?

Come dicevo prima, io mi sono sempre allenata, fino a Tokyo, con Emanuele, anche se avevo la mia guida ufficiale. Durante il periodo del Covid, con tutte le dovute restrizioni, non ho potuto allenarmi con la mia guida ufficiale, che aveva anche degli impegni di lavoro quotidiani, e ho continuato ad allenarmi con Emanuele a Salerno. Emanuele a Tokyo si era qualificato perché rispettava i criteri minimi e gareggiava con le protesi (lui ha un piede bloccato, non muove la caviglia), quindi in un'altra categoria, ma non era competitivo essendo accorpato con la categoria delle protesi. Chiesi, comunque, al mio presidente federale se potesse essere Emanuele la mia guida, ma lui mi risposte che non era possibile quando, in realtà, a livello internazioneale, non si poneva alcun vincolo. Inoltre, la mia guida ufficiale non si rese disponibile ad agosto lasciandomi senza guida e questo finì con l'essere un problema esclusivamente mio. Sul momento finì lì la questione. Successivamente, in quanto con la mia guida ufficiale avevo raggiunto buoni risultati, mi fu chiesto tramite e-mail che se non fossi stata più d'accordo nell'avere questa guida avrei dovuto metterlo nero su bianco. Non risposi perché non volevo certamente rinunciare a Tokyo ed era espressamente scritto che avrei dovuto rispondere solo se non avessi voluto gareggiare più con la guida ufficiale. Nonostante ciò, due giorni dopo, ricevetti una mail che mi comunicava la revoca della convocazione per motivi tecnici in quanto, in una gara, non ero andata bene. Da lì il mio sgomento in quanto, fino a due giorni prima, mi era stato detto di essere stata valutata positivamente con ottimi risultati e due giorni dopo mi viene revocata la convocazione perché in realtà non sono andata bene? Beh, un po' strano. Da regolamento, infatti, i motivi tecnici sono insindacabili quindi non potevo contestare questa decisione, ma ovviamente non potevo accettare questa decisione. Mi sono rivolta ad uno studio legale, con le relative spese, e sono sconcertata e rammaricata di aver dovuto affrontare ben 6 gradi di giudizio sportivo dopo che la questione è stata rimandata per ben due volte dal collegio di garanzia alla corte federale d’appello facendo trascorrere tanti mesi con il giudizio sportivo pendente. Finalmente dopo circa 1 anno e mezzo abbiamo terminato la trafila giudiziaria sportiva e siamo al TAR confidando nella magistratura amministrativa. Dopo Tokyo, reduci da questa situazione, abbiamo deciso di cambiare e cercare altre vie per proseguire i rispettivi percorsi in quanto Emanuele aveva sacrificato i suoi percorsi per aiutare me e non volevo accadesse ancora. Mi sono rivolta, quindi, alle Univesrità e alle società sportive per trovare guide. In questi due anni mi hanno, infatti, aiutato Alessandro Galbiati, mia guida per un paio d'anni, ed Edoardo Bizzarri che mi ha accompagnata ai mondiali di Kobe”.

Attualmente i rapporti con la tua Federazione quali sono?

“Per il primo anno sono stati inesistenti, poi hanno ripreso a chiamarmi anche perché i miei risultati erano sempre buoni, quindi non potevano ignorarli. Mi sono sempre mantenuta formale nelle comunicazioni, fino all'anno scorso, quando ho fatto un ottimo risultato nei 100 metri, il presidente si è presentato complimentandosi con me”.

Questo come ti ha fatto e come ti fa ancora sentire?

Non bene, ovviamente. Per tre anni mi sono sentita trattata in maniera ingiusta senza avere alcuna colpa, ma solo per aver chiesto che Emanuele gareggiasse con me. Inoltre, ho avuto un danno di immagine notevole in quanto non mi viene dato credito dagli sponsor. Ad essermi ed esserci vicina è sempre stata l'azienda per la quale lavoro come dipendente e che ha sempre appoggiato i progetti miei e di Emanuele da Rio ad oggi, la Allianz Partners Italia che ringrazio di cuore”.

A proposito di immagine, chi ha realizzato le mascherine che hai indossato durante le gare?

Sono state realizzate dallo studio della stilista di moda Joann Tan, che ha preso a cuore questo progetto e ha realizzato sia per i mondiali di Kobe che per le Paralimpiadi di Parigi. Rispercchiano la mia specialità ed il mio senso di appartenenza allo sport, nonché la mia voglia di mettere le ali e volare libera proprio come una farfalla. Un lavoro bellissimo e molto complesso che ha richiesto 40 ore di lavoro per ciascuna mascherina.

Ultima domanda che guarda al futuro: Los Angeles 2028, cosa ti aspetti?

Non saprei, sinceramente. Mi riservo di pensare al mio futuro. Non ho ancora fatto alcun tipo di scelta al momento perché Los Angeles è troppo in là e un po' spaventa. Preferisco concentrarmi su uno step alla volta, un anno alla volta”.



Photo Credits (copertina): Fispes/Massimo Bertolini